Regolarizzare la prostituzione, cosa non convince della proposta leghista

È uno dei cavalli di battaglia della Lega: regolarizzare il fenomeno con tanto di iscrizione ad albi comunali. Ma siamo sicuri che in questo modo il racket sparirebbe?

Puntuale come un orologio svizzero, anche questo mese si è riacceso il dibattito sulla legalizzazione della prostituzione in Italia. Un pilastro programmatico della Lega, che nel corso degli anni ha ribadito la necessità di regolarizzare il fenomeno per assestare un colpo alla criminalità organizzata e garantire nuovi introiti fiscali allo Stato. “Sarà una delle prime leggi che proporremo quando saremo al governo, per allinearci a tutti i paesi civili”, tuonava Salvini durante un comizio nel 2017.Dopo nove mesi di esecutivo giallo-verde, non si è vista alcuna legge in proposito. Ma qualcosa si sta muovendo.

Lo scorso 7 febbraio, il senatore leghista Gianfranco Rufa ha presentato un disegno di legge volto alla riapertura delle cosiddette case chiuse, "un gesto di civiltà nei confronti delle prostitute che si trovano per strada, per il decoro e l'immagine delle stesse strade". Pochi giorni dopo, al Consiglio regionale del Veneto è arrivato un progetto di legge leghista volto alla creazione di appositi albi di iscrizione, registrati nei comuni, con l'identità di chi pratica la prostituzione. L’obiettivo è renderle lavoratrici autonome, con l’obbligo di avere una partita Iva, emettere fattura e pagare le spese sanitarie, previdenziali e fiscali. Proposte di questo tipo mirano a superare la legge Merlin del 1958, con cui si poneva fine alla regolarizzazione delle prostituzione in Italia e si chiudevano le case chiuse.

La regolarizzazione della prostituzione è considerata dalla Lega la via migliore per ripulire un settore basato sulla sfruttamento e la tratta di essere umani. In realtà, il modo in cui sta affrontando la questione rischia di portarci indietro di decenni. Al di là della debolezza di un discorso che sembra poggiare più sulla necessità di dare decoro alle strade italiane che non a difendere i diritti delle lavoratrici, quello che più lascia perplessi è l’idea della creazione di un albo comunale che non sarebbe poi altro che un meccanismo di schedatura di massa. Negli anni Cinquanta, le case chiuse erano luoghi solo apparentemente sani, dietro alle cui mura si nascondeva una realtà fatto di sfruttamento e violazioni dei diritti umani. “Prigioni, istituzioni disciplinari dove i diritti e le libertà individuali erano sospesi”, ha spiegato Giorgia Serughetti, ricercatrice dell’Università di Milano-Bicocca, “A parte i ritmi e le condizioni di lavoro, molto faticose, le prostitute erano schedate, sottoposte a controlli sanitari obbligatori, recluse nei sanatori se portatrici di malattie veneree”.

L’esaltazione leghista delle case chiuse dell’epoca dimentica questi particolari e l’idea di combattere gli abusi di oggi istituendo nuovi centri di sfruttamento e iper-controllo sulla persona appare poco sensato. Non è un caso che anche il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, organizzazione italiana che difende i diritti di queste persone, sia contrario alla riapertura di centri di questi tipo. La creazione di case per prostitute in Italia nasconde poi altro. Migliaia di lavoratrici di strada oggi sono irregolari, ragazze disperate senza uno straccio di documento e imbrigliate nel giro della tratta per guadagnare pochi euro. In queste condizioni, non avrebbero modo di entrare nei circuiti legali e le alternative sarebbero due: continuare a operare clandestinamente o uscire allo scoperto, con tutte le conseguenze del caso in termini di rimpatri ed espulsioni post-decreto sicurezza Salvini. Più che una battaglia a difesa dei diritti della persona, quella della Lega sulla prostituzione appare quindi una crociata per il decoro del paese che dimentica le vulnerabilità di queste lavoratrici.

I racket sono impermeabili alle proposte di legalizzazione. Quello della prostituzione è un fenomeno di marginalità e sfruttamento. Ed è lì che bisogna intervenire”, ha sottolineato Stefano Fraccaro, capogruppo Pd nel Veneto, davanti alla recente proposta del collega leghista. In effetti, regolarizzare il fenomeno potrebbe sì avere conseguenze positive quanto meno su una parte di chi pratica il mestiere, quelle che lo fanno per scelta. Ma questo non prenderebbe in considerazione in modo concreto il disagio e le condizioni di marginalità in cui gran parte delle prostitute si trovano, quelle che svolgono questa attività sotto costrizione e ricattate dalle mafie. In assenza di un corollario di normative a tutela della persona, quella leghista rischia così di trasformarsi nella solita misura che fa distinzione tra persone di serie A e persone di serie B.

Le prostitute ospitate in tv da Giletti o in radio da Cruciani, che guadagnano migliaia di euro al mese e pregano di poter pagare le tasse, costituiscono solo una piccola tessera del puzzle. Dietro di esse, c’è un mondo di sfruttamento, costrizione e irregolarità che non può essere risolto in modo semplicistico spostando le prostitute come pedine dalla strada a un appartamento.