Nocera dei Pagani
Nel XV secolo la città cambiò ancora una volta il nome in quello di Nocera dei Pagani, da collegare ai Pagano, una stirpe normanna che già teneva in feudo il castello di Corteimpiano e aveva dato il nome al borgo sortovi accanto.
Nel 1521 iniziò la stirpe dei Carafa, con Tiberio, e prese il via una fase di espansione della città, che durò per tutto il secolo. Intanto, però, iniziarono i primi segni di crisi: le pestilenze, i disastri naturali, il brigantaggio, il fiscalismo spagnolo, i soprusi dei duchi, i costi intollerabili del mantenimento dei soldati di stanza o di passaggio.
La situazione divenne man mano sempre più critica e toccò l'acme nel 1656, quando la peste si aggiunse ai danni della recente guerra civile e ridusse notevolmente il numero degli abitanti. Con l'estinzione dei Carafa Nocera tornò nel 1647 nel demanio regio, ma già nel 1660 fu nuovamente venduta ai portoghesi marchesi di Castelrodrigo, da cui passò nel 1707 ai Pio di Savoia, che la tennero fino all’abolizione della feudalità.
Nel XVIII secolo comincia la ripresa, grazie sia all'attenuarsi delle catastrofi naturali sia al passaggio dal governo spagnolo prima a quello austriaco e poi a quello borbonico, che diedero l'avvio ad una serie di riforme. La popolazione crebbe rapidamente, passando da 12/13000 all'inizio del secolo a 26500 abitanti nel 1785, e si ebbe una notevole attività edilizia: molte chiese vennero ricostruite nelle forme barocche a noi familiari e la cattedrale venne completata nel 1792.
Anche l'edilizia privata fu attivissima: in tutti i casali cittadini si moltiplicarono le case palaziate della classe dominante, mentre nel 1758, sull'area del palazzo ducale, fu eretta la grande caserma, il Quartiere, che liberò i nocerini dall’obbligo di alloggiare i militari.
L'aumento demografico spinse a un miglior sfruttamento della terra: accanto a granturco, ai legumi e alle culture arboree tradizionali, in primo luogo la vite e il gelso, comparvero nuove culture, come gli agrumi e la patata. La ricerca di nuovi spazi agricoli portò ad intaccare i boschi, e anche a estese usurpazioni del demanio cittadino, che passò dal 3000 moggi antichi del 1785 a meno di un terzo nel 1812.
Il '700 fu anche un'età culturalmente fervida: la Chiesa nocerina, che nel '600 era scesa a livelli assai bassi, fu rinnovata da vescovi riformatori, mentre la spiritualità del popolo era vivificata dalla presenza di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Giuristi e medici nocerini acquistarono fama a Napoli e in tutto il Mezzogiorno, mentre si manteneva l'antica tradizione delle classi dirigenti locali di avviare i figli agli uffici pubblici in tutto il regno.
Nelle arti la scena fu dominata da Angelo Solimena e dal figlio Francesco, il maggior pittore meridionale del tempo: i loro dipinti, un tempo numerosi nelle chiese nocerine, oggi sono quasi tutti scomparsi ad opera di ladri. In questa società che mutava penetrarono presto le idee illuministiche e nacquero logge massoniche che diffusero ideali riformatori. Su questo sostrato attecchì poi l'idea giacobina: nel 1799 la città fu tra le prime ad aderire alla effimera Repubblica Partenopea, e tra i patrioti figurano esponenti di autorevoli famiglie cittadine, che in qualche caso pagarono a caro prezzo il loro entusiasmo, subendo condanne ed esilii.
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