Quando gli attaccanti che segnano molto a un certo punto non lo fanno per un po’ di partite, di solito vedi circolare dichiarazioni e articoli che potresti scrivere con mesi d’anticipo, o bendato, o mentre componi la tua nuova squadra di governo cercando un punto d’equilibrio tra M5S e PD. “Ha fame”, “Vive per il gol”, “Deve solo sbloccarsi”: fateci caso, sono tutti uguali.

In genere vengono intervistati personaggi ancestrali, preparatori in pensione, compagni ritenuti “vicini” o ex calciatori che cercano di dimostrare quali siano le dinamiche che si dipanano nella “testa del ragazzo” con lo stesso tono degli esperti d’etologia equina coi cavalli in osservazione.

Ecco: in questo preciso istante il cavallo malato è Piątek.

Se non fosse stato per Quagliarella, Krzysztof Piątek sarebbe stato l’unico vero protagonista della scorsa stagione, per certi versi — forse — più di Cristiano Ronaldo: non solo ha segnato una trentina di gol tra Milan, Genoa e nazionale al suo primo anno fuori dalla Polonia, ma a questo punto del suo incredibile 2018 ne aveva già fatti quattro in 37 minuti contro il Lecce in Coppa Italia, uno all’esordio in A contro l’Empoli e una doppietta nella partita successiva a Sassuolo.

AC Milan v Brescia Calcio - Serie Apinterest
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Questa stagione, invece, è ancora a zero. Zero col Novara, zero nelle tre gare di International Champions Cup, zero in Kosovo, zero col Cesena. A Udine, per la prima di campionato, ha forse messo a repertorio la sua peggior prestazione in Italia, contro il Brescia è partito dalla panchina e quando è entrato si è divorato un gol gigantesco.

La settimana scorsa Calhanoglu ha poi deciso di controfirmarne lo status di “attaccante bloccato” aderendo alla narrativa dell’etologo: ha già detto e confermato che con lui di recente parla sempre del fatto che non segna, ma che adesso vedrete come si sblocca. Invece si è sbloccato Calhanoglu.

Dal punto di vista del tifoso, a questo punto, è quindi più che legittima una piccola dose di panico, da aggiungere in sequenza: all’incombente sensazione di morte di questo inizio settembre milanista; alla certezza che gli speciali sulla “Conte-mania” degli interisti dureranno fino a maggio; al terrore che sia stato un one season wonder; ai dibattiti sull’anti-illuministica, puerile eppure spaventosa “maledizione del numero 9”. Ma ha senso deprimersi così tanto il 5 settembre? È già “Allarme Piątek”?

Qualche giorno fa mi ero posto la stessa domanda in un discorso più generico sulla squadra, rispondendomi con un “no” di incoraggiamento: “è troppo presto”. Per quanto riguarda il polacco, però, il timore che qualcosa possa essere successa davvero è forse più tangibile. Ed è giusto provare a dircelo, perché ci sta cercare i sintomi su Google quando si sta male, basta non farsi la diagnosi da soli.

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MIGUEL MEDINA//Getty Images

Partiamo da qui: al di là di qualsiasi presunta, mitica eppure certamente plausibile “depressione da carenza di gol”, qualche elemento tecnico e tattico per provare a darci una spiegazione esiste: banalmente, Piątek adesso gioca in un ruolo del tutto nuovo e diverso. Nel “Sistema di Giampaolo” — sto per registrare il marchio della formula — la sua posizione non è poi-così-tanto vicino alla porta rispetto a come ce la si aspettava — specie se si pensa alle decine di ettari di aree di rigore vuote lasciate in giro per l’Italia dai Milan di Gattuso.

Lo ha detto Giampaolo stesso, che forse è meglio se lo si avvicina alla porta, e questo malgrado i suoi ultimi attaccanti siano quasi sempre stati più mobili: è vero che, dei due, uno generalmente fa il pazzo e l’altro sta più avanti, ma dall’ultimo è pur sempre richiesta una certa capacità di lettura della situazione, di dettare il passaggio nel posto e nel momento giusto. La disponibilità al dialogo, l’intelligenza tattica. Fabio Quagliarella.

Questa cosa, finora, al Piątek di Giampaolo è mancata. E l’unica partita ufficiale giocata dall'inizio di questa stagione l’ha reso abbastanza evidente: contro l’Udinese, in più di un’occasione, ha preferito andare a cercare la profondità in modo quasi casuale, a memoria, piuttosto che suggerire un appoggio, una soluzione diversa, la creazione di altro spazio tra sé e la porta, non fra sé e il centrocampo.

E così lo si è visto andare fisicamente a sbattere contro la linea a tre “Becao + Troost-Ekong + Samir” — all’esordio assoluto in A — e gestire senza logica il suo ruolo da protagonista della manovra ogni volta che l’azione si spostava dalle sue parti, quando c’era da fare — in una parola — da punto di riferimento di tutto quello spostare la palla in orizzontale al limite della vertigine, avendo fisso quel punto, quell’attaccante lì davanti. Piątek, quello ideale. Quello che però non abbiamo la certezza assoluta che esista realmente.

Udinese Calcio v AC Milan - Serie Apinterest
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Poi è ovvio: contro l’Udinese non avrà beneficiato certo della pessima prestazione generale della squadra, né dell’ennesima giornataccia di Suso, e tanto meno della partita espressionista di Castillejo — che pure in un paio di occasioni è sembrato persino più lucido di lui nel suggerire la giocata. Ma a conferma del fatto che la preoccupazione è legittima, c’è che la prima della sua seconda stagione in Italia è stata preoccupantemente simile alle scialbe prove del precampionato. E non lo sa soltanto lui.

Per quasi tutta l’estate Giampaolo ha ricondotto il dato degli “zero gol” a una sua precisa caratteristica fisica che lo porterebbe a soffrire maggiormente la fatica nelle prime battute della preparazione. “Le occasioni le ha avute, non mi preoccupa”.

Nel dopopartita di Udine, però, l’allenatore del Milan ha calato il cambiogiro dalla sua mano di carte di Uno e — come sappiamo — ha spiegato che buona parte del suo lavoro estivo, almeno in attacco, sarebbe stato da rivedere: contro il Brescia ha cambiato tutto, Piatek è finito in panchina e il Milan ha vinto.

Ed è anche vero che a Genova, in attacco, giocava comunque in coppia, con Kouamé — che però è diverso dall’avere Castillejo vicino, e gli permetteva di essere meno incluso nel gioco, sgravandolo da un po’ di lavoro sporco e chilometri da correre. Marco Giampaolo, però, al momento un Kouamé non ce l’ha — almeno in questo istante. E quindi per rilanciarlo dovrebbe cambiare quasi tutto, metterlo in condizione di fare quello che sa, e non arrendersi alla legge dell’ex preparatore della Lodigiani che s’intende di cavalli e ci assicura che il ragazzo vive per il gol.

È strano, forse ha senso, vedremo.