Luca Zaia: «Per i diritti civili serve una “no fly zone”»

Abbiamo incontrato il governatore leghista del Veneto, il più progressista del centrodestra, per capire il «fattore Zaia». Lui ci ha detto: «Non esiste che l’aborto sia un tema di destra o di sinistra, che il fine vita sia un tema di destra o di sinistra, o che altri temi etici siano di destra o di sinistra»
Luca Zaia

Questa intervista a Luca Zaia è pubblicata sul numero 24-25 di Vanity Fair in edicola fino al 20 giugno 2023

Che ore sono?», chiede. E lo fa per due motivi. Il primo: lo aspettano a Palazzo Chigi, ed è in ritardo. «Tredici anni fa a Roma iniziavano le riunioni senza di noi, che ci fossimo o meno non contava. Oggi ci aspettano», dice Luca Zaia che, a fine intervista, mi sta spiegando qual è la cosa che più lo rende orgoglioso del suo essere governatore del Veneto («non è la gestione del covid, le Olimpiadi di Cortina o la Pedemontana, parlo dello standing che ho fatto raggiungere alla mia Regione»), dove è al terzo mandato con un consenso che si può dire «bulgaro» (il 77% dei voti). Il secondo: non porta l’orologio. «Mi dà noia che, mentre parli a qualcuno, questo controlli l’ora… Quindi non lo uso più». Il tempo corre, ma Zaia sfodera sempre sorriso e battuta pronta, versione plastica dell’ultimo saggio I pessimisti non fanno fortuna (Marsilio), che era un motto di famiglia. Ha una cortesia pragmatica: cordiale, non tollera che il discorso finisca dove non vuole. Di lui Maurizio Crozza ha fatto una parodia che si è evoluta nel tempo, all’inizio era sponsor del «territorio» – in una mano il prosecco, nell’altra il tiramisù –, inventore del panino McItaly proposto a McDonald’s («avevo sentito che la memoria olfattiva e gustativa del bambino si forma tra i 2 e gli 8 anni, se gli dai polenta, vuole polenta sempre, quindi meglio che mangi i nostri prodotti»). Poi è diventato «compagno» con l’eskimo, per una serie di dichiarazioni – a favore delle unioni gay, della legge 194 sull’aborto, della libera scelta sul fine vita e contro l’omofobia durante la discussione del Ddl Zan – che gli hanno attirato critiche nel suo partito, la Lega, e più a destra. CasaPound ha diffuso poster in cui è ritratto con falce e martello dopo l’ultima decisione, quella della giunta regionale di aprire, all’Università di Padova, il Centro di riferimento in Veneto per i disturbi dell’identità di genere. Ma attenzione: se è pur vero che Zaia ha le posizioni più liberali del centrodestra, il «fattore Z» non è di sinistra ed è difficile da incasellare nei «vecchi paradigmi». Durante il nostro incontro accetterà solo le definizioni: «federalista», «antirazzista», «antifascista», «cattolico», «boomer, o forse Generazione X».

Possiamo dire almeno che è il più progressista del centrodestra?
«Diciamo che faccio il mio dovere di amministratore rappresentando tutti i cittadini. Potrei vantarmi e dire che esprimo il mio elettorato, che è quasi l’80%, ma lo stile amministrativo si vede quando uno si sforza di rappresentare anche il 20% che non lo ha votato. E non c’è ideologia, ma legge. Anche ’sta storia del centro…».

Il Centro di riferimento regionale per i disturbi dell’identità di genere a Padova. Lei ha detto che è una «questione di civiltà».
«È una prestazione che va erogata per legge, e la legge è del 1982. Quanti sono i casi di chi cambia sesso, all’anno? Tre? Bene, detto questo, nessuno parla mai di quello 0,3 per mille di bambini che nascono ermafroditi per il quale bisogna avviare tutto un percorso, o delle malformazioni genetiche nell’area genitale. Io rispondo ai bisogni dei miei cittadini, punto. Mi hanno criticato anche quando ho portato l’età massima per accedere alla fecondazione assistita a 50 anni, in Veneto. Sembrava che avessi commesso un reato perché a 50 anni una donna non può fare figli. Io dico invece che se la natura consente l’ovulazione, perché limitare?».

Nel suo libro, che sembra un manifesto, scrive che la politica deve garantire la libertà, non limitarla.
«Per i diritti civili serve una “no fly zone”: non esiste che l’aborto sia un tema di destra o di sinistra, che il fine vita sia un tema di destra o di sinistra, o che altri temi etici siano di destra o di sinistra. Quando ero ministro dell’Agricoltura, mentre in Parlamento si discuteva a destra e a sinistra, Eluana Englaro è morta dopo che la Corte d’Appello di Milano aveva autorizzato il padre a sospendere l’alimentazione. La politica deve garantire la libera scelta: chiunque si trovi in una situazione di irreversibile sofferenza, come si è espressa la Corte Costituzionale nel 2019, deve poter decidere la fine che desidera. Ogni scelta è diversa, e va rispettata».

Parlando di libertà, lei si è detto favorevole alle unioni civili delle coppie gay prima della Legge Cirinnà, e ha parlato di «omofobia come patologia» durante la discussione del Ddl Zan. Poi però sulla questione della possibilità di adottare per i single e le coppie omosessuali si è detto contrario.
«Lo penso ancora, perché credo che la libertà degli adulti non debba confliggere con quella del minore».

Ma non sarebbe un diritto di un minore non crescere in un orfanotrofio, ma in una famiglia etero o omosessuale che lo accoglie?
«Conosco coppie etero che vogliono adottare ma i bambini restano in orfanotrofio, per le difficoltà e la burocrazia. Se c’è una priorità, dal mio punto di vista, è quella di favorire prima queste coppie».

La sua famiglia d’origine è grandissima, sua nonna, che aveva già 11 figli, si prese in carico i sei della sorella, quindi lei ha molti zii e cugini, forse nipoti?
«Erano due sorelle che avevano sposato due gemelli omozigoti, quindi i figli di mia nonna erano uguali a quelli della mia prozia, un casino… Comunque ho cugini sparsi in tutto il mondo, nipoti nessuno».

Lei non ha figli, quindi non ci sono bambini in famiglia?
«Frequento molto i miei figliocci, figli dei miei amici, che sono la mia famiglia. Per me è una vera responsabilità, non sono come quelli a cui chiedono di fare il padrino e lo fanno in automatico».

Che cosa dice a questi ragazzi?
«Primo: fate quello che amate, anche se è la roba più sfigata del mondo, anche se è la roba più impossibile del mondo, anche se è il lavoro meno consigliato al mondo. Secondo: non mollate mai, non c’è successo senza difficoltà. Terzo: siate fatalisti. Vuol dire che se stai seduto sul divano al massimo ti può cadere un meteorite in testa. Se invece sei fatalista e coltivi relazioni, sei educato, sei gentile, prima o poi raccoglierai, perché si lascia un seme in ogni relazione».

Sui social, dove è il governatore con più follower totali, posta gli incontri con scolaresche, gruppi sportivi, parla spesso di giovani. Perché?
«Perché sono il futuro, e l’Italia non fa abbastanza. I nostri ragazzi sono eccezionali, più bravi di noi quando avevamo la stessa età. Certo, loro sono connessi al mondo con il cellulare, io sono nato nel 1968 e la mia generazione aspirava all’enciclopedia, che si acquistava con le cambiali. Loro prendono un volo low cost e sono dall’altra parte del mondo, io a 18 anni sono andato a Marbella, 3.300 chilometri evitando le autostrade, con la Due Cavalli di mia madre. È che la narrazione di questo Paese è una narrazione negativa».

La sua qual è?
«L’Italia è il posto più bello del mondo, è innegabile no? Se i pensionati vanno in Portogallo per le tasse, possiamo immaginare che in un futuro non molto distante potremmo attirare i ragazzi del mondo a venire a vivere in Italia perché siamo, fra virgolette, come Mykonos o Formentera».

Dovesse scegliere lei, un posto in Italia, Veneto escluso, dove andrebbe a vivere?
«Se fossi un giovane, nomade digitale, sceglierei Pantelleria. Se oggi l’isola è patrimonio mondiale dell’umanità lo devono a me, li ho candidati io, lo scriva pure».

Ha proposto una certificazione «young», come quelle ecologiche.
«Tutte le leggi che si fanno in Italia dovrebbero essere compatibili col futuro. Per esempio nessuna banca finanzia i giovani per l’acquisto della casa: perché non possiamo far fare da garante allo Stato e, per chi ha determinati requisiti di reddito e di età, italiano o straniero, l’affitto si trasforma in una rata di mutuo? Poi dobbiamo essere ipercablati, perché i ragazzi vogliono il Wi-Fi, la banda larga, lo smartworking, che ci parla di un nuovo modo di approcciarsi al lavoro. Non voglio essere irriverente, ma a.C. e d.C. ormai significano “avanti Covid” e “ dopo Covid”, è cambiato il mondo, dobbiamo cambiare paradigma. Siamo un Paese che invecchia».

E arrivano i migranti. Suo nonno Enrico era andato in America, lei conosce il sacrificio collegato al cambiare vita e ha raccontato che nella sua famiglia era stato accolto un ragazzo senegalese, venuto a imparare l’agricoltura. Si è sempre dichiarato antirazzista.
«Perché l’ho imparato a scuola. La mia maestra, che aveva 18 anni, ci faceva ascoltare i vinili dei Bee Gees, introvabili, e vedere lo sceneggiato Radici. È stato fondamentale perché non puoi spiegare oggi che cos’è il razzismo senza fare capire da dove proviene, quindi dalla schiavitù, dal colonialismo, è da lì che nasce il concetto di razza inferiore. È come se si parlasse della questione ebraica senza parlare dell’Olocausto, siamo quasi a livello di negazionismo».

Si è dichiarato anche antifascista.
«Per me è naturale esserlo, e non ci trovo nulla di straordinario. Parlando di razzismo non puoi prescindere dalle leggi razziali, dal periodo più buio della nostra storia, quello del nazifascismo».

Luca Zaia a sei anni, nel 1974, il primo giorno di scuola elementare

È molto impegnato, gira per il Veneto, per l’Italia, va a Bruxelles.  Ha del tempo libero?
«Lo stoicismo non porta qualità nella vita, non credo a quelli che sono impegnati h24. Mio padre dice spesso che un medico deve lavorare 8 ore, divertirsi 8 ore e riposare 8 ore, se tiene aperto l’ambulatorio 24 ore fa danni. Non lavoro in miniera, ci sono lavori molto più impegnativi e molto più ripetitivi e molto meno appassionanti, quindi faccio una vita normale».

Ha sempre la passione del cavallo?
«Certo».

Ne ha trovato un altro, dopo il suo Royal Cal, scomparso nel 2019?
«Non ancora. Ho aspettato la primavera del 2020, ma poi è arrivato il covid il 21 febbraio. Adesso ci dovrei ripensare ma ormai sono a un livello pro, è “un abito su misura” il tuo cavallo, non guardi più l’aspetto fisico, devi montarlo per capire se fa per te. Ci vuole tempo».

Quante ore dormiva durante l’emergenza covid?
«Poco. Anzi, mi chiedevo: ma devo andare a letto? Pregavo Dio che mi bastassero i respiratori».

Prega spesso?
«Sono cattolico. Dopodiché “aiutati che il ciel ti aiuta”. Sono pragmatico».

Si è laureato in Scienze della produzione animale, ma ha sempre lavorato. Quando ha iniziato?
«A sei anni, con mio padre in officina meccanica. Ma la prima partita Iva l’ho aperta a 18, quando facevo il pr per le discoteche e mi sono inventato l’invito alle serate, una rivoluzione per il mercato».

In che senso?
«Sono anche un uomo di marketing, non solo con i prodotti veneti. L’invito cartaceo è stato innovativo perché ti faceva sentire chic, ti faceva pensare di partecipare a un evento esclusivo. In realtà l’idea mi era venuta guardando i volantini sui parabrezza delle auto, quelli delle svendite con sconti all’80%».

È vero che ha conosciuto sua moglie Raffaella in quel periodo?
«Sì, l’ho vista una sera e mi ha colpito, ho scoperto che era amica della sorella di uno che conoscevo, e ho cercato in tutti i modi di avere il suo numero. Poi, in un secondo momento, abbiamo lavorato insieme in discoteca, lei stava alla cassa».

Vi siete sposati nel 1998, quest’anno fate le nozze d’argento.
«Il 24 luglio».

Nel suo libro parla anche di carico mentale che grava sulle donne, lei che cosa fa per alleviare quello di sua moglie?
«La nostra vita è mutualistica, in casa non abbiamo un problema. Lei cucina molto bene, ma anche io lo faccio. Ci dividiamo tutti i compiti».

Come va?
«Benissimo, grazie. Nessun segreto, non esiste una formula magica, ogni storia è storia a sé, di certo c’è la grande pazienza di mia moglie. Scherzi a parte, abbiamo un’ottima intesa. Ma andiamo avanti…».

Quando si è laureato, nel ’93, non ha più fatto il servizio militare, ma è stato obiettore di coscienza.
«Ho fatto il servizio civile di 15 mesi per convinzione, mi sembrava un’esperienza formativa, non scontata, all’epoca. Mi hanno assegnato ad Altivole, Treviso, dove portavo i pasti ogni giorno in casa di 14 anziani, al mattino aiutavo a scuola dei ragazzini di famiglie disagiate, poi facevo il manovale, ho dipinto tutti gli scaffali della biblioteca del paese».

Poi che cosa è successo?
«Sono passato dai lavori più umili alle attività più impegnative, fino alla politica. Penso che comunque vada il mondo, un’opportunità c’è sempre. I pessimisti non fanno fortuna, no?».

È ottimista anche sulla riforma dell’autonomia differenziata? Giorgia Meloni ha detto che rafforzerà l’Italia.
«È la madre delle riforme per questo Paese. Sono stato fra i primi a parlarne, in un’epoca dove sembravamo degli eretici. Oggi siamo vicini alla meta: l’autonomia è nell’agenda di questo governo e le parole di Giorgia sono state chiare. Non si è mai fatto tanto come negli ultimi mesi».

Proiettiamoci nel futuro: 2025, sta per scadere il suo mandato, il traguardo dell’autonomia lo ha raggiunto. Che «opportunità» coglierà?
«Posso rispondere da veneto?».

Dica.
«Se femo uno spritz?».

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